//Architetture e Trasformazioni Urbane

Architetture e Trasformazioni Urbane

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Architettura e Trasformazioni Urbane è il catalogo della mostra omonima che si tenuta nel 2002 a Cadoneghe, dedicata al lavoro degli architetti veneziani Iginio Cappai (1932-1999) e Pietro Mainardis (1935-2007).

Riportiamo qui il testo introduttivo al volume dell’architetto Matteo Grassi:
Architettura e Trasformazioni Urbane è un libro e una mostra sulle opere, in particolare quelle recenti per Cadoneghe, degli architetti veneziani Cappai e Mainardis. È una giornata di studi per discutere le politiche di gestione del territorio, di pianificazione e di progettazione. È una settimana di eventi e spettacoli, per inaugurare la nuova piazza dedicata al Lavoro [ora piazza del Sindacato], e far conoscere, ai residenti e non, come questa cittadina si stia trasformando.
Architetture e Trasformazioni Urbane è però anche l’esordio di D-stanze, associazione culturale nata con lo scopo, l’urgenza, la necessità, della divulgazione della cultura architettonica e artistica.
Nel fondarla abbiamo ricordato Bruno Zevi che ogni settimana scriveva, seppure poche righe, di architettura su L’Espresso, e venica letto, forse, anche dal barbiere, sull’autobus, o in qualche sala d’attesa. Divulgare per noi è comunicare una conoscenza non autoreferenziale, è costruire le basi per il dialogo e la discussione, quindi per la crescita e, speriamo, per la rivalsa, di una ricerca spesso snobbata, irrisa, ignorata, o commercializzata.
arch. Matteo Grassi, presidente Associazione Culturale D-stanze, Padova.

 

La mostra Architetture e Trasformazioni Urbane, assieme alla settimana di eventi e spettacoli, si è tenuta a Cadoneghe tra l’11 e il 18 ottobre 2002. Sono rimaste alcune copie del catalogo stampato in quell’occasione, che abbiamo deciso di vendere al prezzo simbolico di 5 € tramite il sito di overview editore.

Catalogo con testi introduttivi di:
arch. Mauro Sarti, Assessore ai lavori Pubblici e all’Urbanistica del comune di Cadoneghe
Adriano Baldin, Sindaco di Cadoneghe
Silvano Carraro, Assessore alle Attività Culturali, Cadoneghe

e con brevi saggi di:
Architettura veneta, tradizione italiana, arch. Guglielmo Monti, Soprintendente per i Beni Ambientali Architettonici e il Paesaggio del Veneto Orientale.
Per alcune recenti realizzazioni a Cadoneghe dello Studio Cappai e Mainardis, arch. Francesco Tentori, IUAV Venezia.
Architetture di alta normalità, arch. Adriano Cornoldi, IUAV Venezia.

 

Descrizione

Riportiamo qui il breve saggio redatto da Adriano Cornoldi, che accompagna il catalogo.
Architetture di alta normalità

La produzione dello studio Cappai e Mainardis si distingue come poche altre nel panorama dell’architettura contemporanea italiana contemporanea per la capacità di dar seguito a progetti di qualità con costruzioni di qualità. Quelle opere, incentrate sulla dimensione collettiva e sociale della progettazione, sono state oggetto di un gran numero di pubblicazioni e riconoscimenti di valore internazionale, ma non abbastanza considerate dai canali della grande comunicazione. Si tratta di un tipo di impegno che da decenni resiste alle difficoltà derivate da una spaventosa frattura, nella realtà del nostro paese, fra una buona architettura disegnata e una cattiva architettura costruita: un impegno che ha risposto da sempre ad autorevoli appelli, oggi più che mai attuali, a far uscire il progettotettro architettonico da una condizione di superfluità. Per un suo ruolo etico: “l’architettura è una cosa seria, è una questione di spazi, di interni, non di pelle” (Giancarlo De Carlo); per un suo ruolo civile: “l’obiettivo è realizzare la proprietà d’uso degli edifici, la loro appropriatezza in rapporto a reali esigenze umane” (Carlo Olmo); per un suo ruolo politico: “la nostra disciplina deve dare il suo contributo per rendere il mondo più egualitario” (Vittorio Magnago Lampugnani).
E’ un fatto importante e nuovo il riconoscimento “istituzionale” dato al lavoro di questi architetti, su iniziativa di Guglielmo Monti, dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, con la mostra del 1999 alla Villa Pisani di Stra e il relativo catalogo. Un evento tanto più significativo in quanto promosso da chi, in nome della tutela dell’antico, può rischiare di tarpare le ali al moderno, e anche significativo per il fatto che si trattava di architetti estranei ai ristretti circoli delle élite culturali e delle dispute accademiche. Ma architetti veri, impegnati a pieno tempo a inventare costruzioni nuove e, nel contempo, a sporcarsi le mani in un mestiere sempre più faticoso.
Quell’impegno ha dovuto resistere contro le ostilità di interlocutori – committenti, imprenditori, burocrati, amministratori, mass media, opinione pubblica – in genere poco interessati e ancor meno capaci di favorire la realizzazione di buoni edifici, ma non ha neppure trovato significativo sostegno da parte del mondo della cultura e dell’accademia, troppo spesso viziata da interessi di gruppo e da pregiudizi ideologici.
E’ infatti ormai un dato acquisito che nel panorama mondiale la produzione edilizia media del nostro paese è tra le più scadenti. Le cause possibili sono varie e note: carenze nell’educazione scolastica, assenza di incentivi da parte delle istituzioni, latitanza delle organizzazioni professionali in materia di promozione e di riconoscimenti, dequalificanti anomalie nostrane quali la concorrenza di geometri, periti, ecc… Di fronte a una situazione di ignoranza e indifferenza diffusa c’è persino da stupirsi di come Cappai e Mainardis siano riusciti a realizzare certe opere di grande impegno. E’ poi altrettanto nota la diffidenza, spesso sconfinata nella criminalizzazione, da parte di un mondo accademico (dominato da critici e storici piuttoso che da progettisti) imbevuto di massimalismo iconoclasta, nei confronti della professione di architetto e della pratica costruttiva, ritenuta una indegna compromissione. E pensare che i nostri autori non hanno costruito ville per i ricchi, ma case popolari, fabbricati sperimentali, servizi sociali, strade e piazze: operando con creatività e assieme con paziente capacità di persuasione, per lo più con il sostegno di amministrazioni progressiste, hanno dato respiro urbano a informi vuoti tipici delle nostre periferie, hanno infuso dignità di grandi architetture civili a edifici pubblici, commerciali, abitativi, spesso dimensionalmente e finanziariamente limitati. Anche a quella faziosa, e forse invidiosa, avversione della cultura architettonica per il progetto costruito si deve, negli ultimi anni, la progressiva emarginazione dell’architettura italiana dal dibattito internazionale.
Si tratta qui di professionisti esemplari per genialità e competenza tecnica: è apparsa penosa, nella partecipazione dell’Ordine degli Architetti per la scomparsa di Iginio Cappai, la sola definizione di “stimato collega”.
E si tratta anche di autori di una ricerca – sulle forme e sulla costruzione – originale ed alta: eppure, nei concorsi per l’insegnamento universitario della progettazione e della tecnologia, gli sono stati preferiti candidati imberbi e incompetenti.

La produzione di Cappai e Mainardis è vasta, multiforme, difficilmente definibile sia sul piano tipologico che linguistico, ma questo è ciò che accade quando si costruisce non per lo stile, non per l’immagine, non per la pubblicazione, ma per la necessità delle persone, dando puntuali risposte diverse a programmi ogni volta diversi.
Questi edifici sono per lo più estremamente complessi e non possono essere apprezzati pienamente con il semplice studio a tavolino, e neppure con una visita turistica, ma solo sperimentadoli.
Tuttavia moti di essi rimangono già impressi fortemente anche solo come singolari immagini. Solo per citarne alcuni, ed escludendo i più noti: la tettoia del centro sportivo a Mira, 1970; il residence al Lido di Venezia, 1981 (successivamente manomesso); l’ufficio postale a Mira (1985); la Torre Giotto a Padova e il “Palazzone” a Cavarzere (1995); gli uffici Thetis all’Arsenale di Venezia (1997). Da più di un trentennio studenti e architetti sensibili giungono da lontano chiedendo notizie per raggiungere e visitare opere come queste. Un apprezzamento particolare merita la produzione recente di residenze economiche, pubbliche o per il mercato privato: uno dei tempi più difficili, per le limitazioni d’ogni genere che lo condizionano, e infatti uno dei temi più bistrattati dalla pratica edilizia.
Si tratta di un operare in tono sommesso, discreto, nella paziente ricerca di una non effimera dignità dell’abitare per gli edifici e il loro intorno, e nel contempo della conquista di nuovi margini di qualità urbana.
Capostipite di questa serie è il complesso residenziale a Sacca Fisola, studiato con Valeriano Pastor avendo in mente la tradizione delle antiche case collettive veneziane: intervento denso di vivibilità tanto urbana quanto domestica.
Nello stesso spirito sono condotti gli interventi di Cadoneghe, ricercando per ciascun fabbricato il più opportuno riferimento tipologico, le più appropriate invenzioni con cui variarlo, i più efficaci dispositivi della sua integrazione urbana: tutto al fine della migliore qualità di vita possibile. Qualità di vita che, argomento ignorato dalla attuale pubblicistica più prestigiosa, è in realtà lo scopo essenziale dell’edificare.
Chi ritiene che la vera architettura sia quella costruita; ch’essa si realizzi con costi ragionevoli; che lungo il suo difficile processo realizzativo, anziché impoverire sappia arricchire il progetto iniziale; che nel collocarsi in un sito reale mostri la sua effettiva capacità di radicarsi e di qualificare il contesto; che debba essere frutto di un suo inventivo e sapiente dei materiali, in grado di resistere al tempo; che si definisca attraverso lo studio del dettaglio; che risponda pienamente a necessità umane, soddisfacendo scopi materiali e assieme aspirazioni dello spirito; che per questa ragione non si costituisca in forma immutabile una volta per tutte, ma che per continuare a vivere debba in qualche modo proporsi come “opera aperta”: chi pensa che tutto ciò abbia un senso può allora riconoscere in queste opere un esempio raro di architettura pienamente ed altamente “normale”, di architettura davvero compiuta.

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